La re-visione e il reincanto della psicologia

                             La re-visione e il reincanto della psicologia

                 “Stanislav Grof tra la psicologia del profondo e la Cabalà”

 

Di Virginia Salles, Roma

(Estratto)

Sono nata in Brasile. Ciò che più  colpisce lo straniero che arriva da quelle parti è la percezione di una Natura più forte dell’uomo, una natura che in un certo senso lo “sovrasta”. Natura che si trova anche dentro di noi: il nostro mondo interiore, l’inconscio con i suoi archetipi. Nell’ambito del Candomblè (religione afro-brasiliana), le forze della Natura sono divinità che durante i riti di possessione si impossessano degli elegun (gli iniziati), gli “cavalcano” e comunicano così con i mortali, portano benedizione, grazie, insegnamenti, medicine per il dolore etc… Qui si tratta di una religione molto primitiva, in che senso intendiamo oggi la parola “religione”? Cosa significa “essere religioso”?

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La comune definizione di persona religiosa è quella della persona credente in Dio e che, come conseguenza della propria fede, sia anche una persona dotata di una coscienza etica. Questa definizione trascura però l’essenziale, la qualità intrinseca del sentimento religioso: il fatto che questo non è fondato su un concetto (pensato) di Dio.

Più che di religione quindi, come siamo abituati a intendere, sarebbe meglio parlare di “esperienza religiosa” e ciò che conta non sono le concezioni razionali che ne derivano, ma  l’esperienza umana che genera tali concezioni, in particolare nei suoi aspetti di catalizzatore di trasformazioni profonde dell’essere umano: un’esperienza di trascendenza che tradotta in linguaggio psicologico significa l’abbandono della prigionia dell’ego e dell’identificazione con il proprio corpo – di quel sentirsi incapsulato nella “tunica di pelle”, per usare il linguaggio cabalistico. Di solito questo tipo di esperienza “oltre i confini” viene definito “Dio”. Le differenti interpretazioni che vengono date di tipo filosofico o religioso riguardano solamente il contesto nel quale viene elaborata. Nella loro essenza questi vissuti sono molto simili sia che contenga o non un concetto di Dio.

Questo tipo di esperienza viene descritta nella letteratura mistica cristiana, ebraica, musulmana e anche nel buddhismo zen. Al di fuori del contesto religioso fu descritta da studiosi come C. G. Jung (in particolare nel suo “libro rosso”), Stanislav Grof, Ken Wilber, Roberto Assagioli, Rudolf Steiner, Benedetto Spinoza ed Erich Fromm, che ne sottolinea in particolare l’aspetto strettamente “umano”.

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Qui si tratta di andare oltre la psicologia che conosciamo, è come se la psicologia dovessi varcare il suo Rubicone. La re-visiona e il reincanto della psicologia (titolo del convegno) passa attraverso Grof verso qualcosa come la ricerca del “fondamento universale”, una sorta di fattore spirituale che ci riporta a noi stessi e allo stesso tempo unisce e trascende le religioni. Penso che la Cabalà ci offre una visione del mondo che soddisfa queste attuali esigenze della psicologia. La lettura delle  opere cabalistiche catalizza il processo di ricerca interiore ed apre la via verso una coscienza più vasta e più completa.

Durante le esperienza iniziatiche appartenenti a differenti tipi di tradizioni spirituali, c’è un periodo che intercorre tra i vissuti iniziali di morte e distruzione del mondo  e il successivo rinnovamento, la rinascita. La persona in quel momento smarrisce tutti i punti di riferimento e resta presa in una morsa. È un momento di impasse nel quale l’iniziando non può più conformarsi al suo  vecchio modo di  essere-nel-mondo, che non gli appartiene più, ma non ha ancora trovato i nuovi valori né una visione del mondo che gli permetta di costruire un nuovo e più ampio progetto di vita. La persona si trova a questo punto sulla soglia dell’iniziazione e nei contesti iniziatici tradizionali vengono  impartite precise istruzioni  per superare alcune “prove” che dovranno essere affrontate per giungere alla naturale vita dell’anima. Le prove generalmente sono tre: la prova del fuoco, la prova dell’acqua e la prova dell’aria.

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L’esperienza vissuta da Maurizio, 44 anni, durante una seduta di respirazione olotropica[1] da lui intitolata “le poltrone della conoscenza” sembra in qualche modo relazionata con quanto descritto:

 

Sono in un luogo privo di riferimenti fisici, forse la cima di un monte, tra le nuvole, forse il monte Athos. Cammino nell’assoluta mancanza di particolari riconoscibili, in un luogo (o meglio un non luogo) fatto di luce bianca. Ad un certo punto vedo una sedia di granito, grande e massiccia. Un uomo anziano mi spiega da lontano (è a circa 10 metri da me e non si avvicina mai), che sono arrivato alle tre sedie della conoscenza. Io guardo meglio e vedo che più in là ci sono altre due sedie uguali, ben distanziate tra loro. L’uomo mi spiega che per arrivare alla conoscenza avrei dovuto sedermi su tutte tre e che le sedie non sono uguali tra loro: la prima è la sedia dell’acqua, la seconda del fuoco, la terza la sedia della luce.

Senza indugio accetto di sedermi e comincio dalla prima sedia, quella dell’acqua. Affronto questa cosa nell’assoluta ignoranza di quello che mi sta per accadere. Nell’istante stesso in cui mi siedo mi trovo in un mondo subacqueo vastissimo e apparentemente senza confini (senza alcuna possibilità di trovare aria!). Mi spavento moltissimo e inizio a soffocare, subito capisco che morirò e che non posso fare niente per evitarlo. Ed infatti accade: muoio. Ma la morte dura un istante e subito mi accorgo che è come se avessi subito una trasformazione, ora posso respirare l’acqua. Mi prende un stato di euforia fortissimo e non riesco a trattenere le risa. Inizio a nuotare come un pesce e a respirare e mi muovo liberamente intorno abbandonando la sedia. Nel mio girare libero arrivo davanti alla sedia del fuoco. Questa mi intimorisce molto. Sia perché ho capito che mi aspetta una nuova morte sia perché mi prende una paura fortissima, paura di dover, con la morte, lasciare tutto quello che conosco, che amo, che mi sta intorno. Piango moltissimo e non riesco a prendere la decisione di sedermi. È come se questa volta sapessi che dovrò rinunciare a tutte le certezze che ho e la paura di questo mi attanaglia.

Decido di legarmi alla sedia perché dubito della mia forza, in questo momento sono molto debole e spaventato. Appena mi siedo appaiono degli anelli metallici che mi imprigionano i piedi e i polsi e, in un istante il fuoco mi avvolge ed io sento il mio corpo fondere completamente. Ma anche questa volta la morte dura un istante e subito inizio a sentire di nuovo il mio corpo e mi meraviglio di poterlo toccare, mi tocco le mani, il viso, il petto e sono stupito di poterlo fare, un istante prima avevo sentito la mia carne sciogliersi. Ora non ho più paura di niente.

Guardo la terza sedia e le giro intorno. Più la guardo e più mi accorgo di non capire cosa sia e passo molto tempo a cercare di immaginare qualcosa, a cercare un indizio, anche solo un pensiero che mi renda tutto più chiaro…ma niente, continuo a non capire, è come se fosse una cosa che non si può capire. Non resta che sedermi sulla terza sedia.

Così mi siedo e… in un istante, con un lampo di luce sparisce tutto, io, la sedia, le mie domande, le risposte che cercavo, niente esiste più, ho la percezione del nulla più assoluto e questo non è bello né spaventoso, è NULLA. O forse tutto. E non serve più niente, e nulla viene dopo questo, forse proprio perché  è già TUTTO!

 

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E’ molto pericoloso voler riportare questo tipo di esperienza al livello delle categorie di una coscienza ordinaria, chiuderla nei nostri schemi concettuali. Questo tipo di esperienza appartiene alla trascendenza e richiede urgentemente una revisione dei nostri concetti fondamentali, richiede un’altra visione del mondo!

Trascrivo in seguito un brano dell’esperienza olotropica di Giorgio scritta di suo pugno:

 

 

 

 Il corpo vibra lievemente; inizia il mio solito formicolio nelle mani e poi il vortice nero che mi trasporta in basso…giù, giù…sempre più in basso.

D’improvviso, mi trovo in uno spazio sconfinato, lungo un costolone di montagna con due enormi dirupi a destra ed a sinistra; il sentiero davanti a me è strettissimo ed ho paura di cadere, in fondo all’altro lato di questo stretto camminamento, vedo una sagoma femminile…non la riconosco subito, ma intuisco che è lei, il mio antico amore.

 Lei mi invita a raggiungerla con gesti ammiccanti; sorride, alza il vestito e mi mostra il suo corpo nudo, poi si ricompone. Inizio a camminare ma ho paura; allora provo a muovermi carponi con le ginocchia e le mani lungo il costolone di montagna ma non riesco ad avanzare…vado avanti e poi mi ritraggo. La paura è troppo forte, scivolo verso il dirupo di destra e poi verso quello di sinistra. Torno indietro e mi rialzo.

Mi accorgo che lungo le coste scoscese della montagna avanzano migliaia e migliaia di enormi insetti neri, sono minacciosi, vogliono impedirmi di arrivare a lei, vogliono forse mangiarmi o farmi cadere…ho paura, torno indietro. Forse corro.

All’inizio del percorso c’è una piccola piazzola di terra in piano ed io lì mi distendo per prendere fiato. Sono stanco, ma vorrei raggiungere lei ed abbracciarla.

Provo a rialzarmi e mi accorgo di non riuscire; per quanti sforzi faccia riesco ad alzare solo il busto, ma le mie gambe rimangono distese a terra e pesano, sono doloranti

 Mi trovo ora di nuovo sul costolone della montagna, guardo davanti a me e lei non c’è più…non la rivedrò mai più. Eppure devo andare dall’altra parte…come fare? Ci sono! Ora provo a volare!! Comincio a muovere le braccia lentamente verso l’alto e verso il basso come se fossero ali. In effetti ho poca fiducia che ci riesca ma…ecco…ecco… VOLO!!!!!!!! Guardo verso il basso e vedo la montagna con lo stretto percorso, le chine ripide senza più insetti; vedo enormi distese di campi a perdita d’occhio: è un spettacolo bellissimo. Il giorno volge al termine e il sole sta tramontando, è quasi sera. Sono esausto, voglio riposare.

Sono di nuovo disteso e consapevole di essere nella stanza di Trastevere, sul materassino. Mi accorgo con stupore di fondermi con tutto ciò che mi circonda; tocco il lenzuolo e SONO il lenzuolo… SONO il cuscino… SONO il materassino… SONO il pavimento… SONO il muro… SONO la musica, l’aria… SONO IL MONDO.

Mi pervade una grande serenità, sorrido. Non avevo mai provato tanto…

 

Questa è un’altra esperienza di Unione, questi vissuti sono accompagnate da intense emozioni che influenzano profondamente il respiratore e a volte trasformano definitivamente la sua visione del mondo.

San Giovanni della Croce ha descritto così il suo viaggio dopo aver attraversato la notte più nera: “Mio il sole, mia la luna, mie le stelle, mia la madre di Dio, mie tutte le creature”. Anche San Francesco d’Assisi descrive ogni elemento della Natura come intimamente suo: fratello sole, sorella Luna e le stelle, fratello vento, fratello fuoco, sorella madre Terra. Queste parole appartengono a una categoria di esperienza che sfugge totalmente a qualsiasi interpretazione (psicoanalitica o altro), perché sono il frutto di un percorso evolutivo che va oltre la visione della psiche tradizionale, sono il frutto di un’esperienza mistica che non è altro che una visione più ampia e più profonda della realtà in cui viviamo.

 

Esperienze come quelle di Giorgio, Giacomo o Maurizio durante le r.o. sono molto comune e sono profondamente “ecologiche”, nel senso che ci riportano alla Natura e ci rendono consapevoli della nostra profonda connessione, ma sono anche esperienze portatrice di conoscenze  di tipo filosofico e religioso, nel senso descritto prima.

 

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Platone, Pitagora, Newton e Leibniz, Goethe, Rudolf Steiner e molti altri personaggi tra i più brillanti e creativi della storia, furono profondamente influenzati dallo studio della Cabalà.

Adam Qadmon – una delle entità più elevate della cosmogonia cabalistica  è l’Uomo Assoluto, dal quale veniamo e verso il quale tendiamo ed il racconto biblico  della liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto rappresenta l’inizio del percorso dell’intera umanità e di ognuno di noi verso la libertà. Adam è l’umanità intera, siamo noi, è ogni essere umano custode del “seme segreto”.

Nella visione della Cabalà l’inconscio è il “non compiuto”,  uno spazio infinito, nascosto alla nostra consapevolezza ordinaria, carico di energia e potenzialità che gravita intorno al  nucleo centrale della nostra personalità (il “Sé” di Jung). E’ il polo femminile dell’essere nel suo significato archetipico e la nostra lontananza da questo nostro nucleo autentico viene rappresentato nel mito (Adamo ed Eva) come “la caduta” ed in ambito cabalistico viene definito “la condizione d’esilio” nella quale ci troviamo –  una condizione di  abbandono di noi stessi. Il nostro dramma è quello di aver definito come “normalità” questa condizione di alienazione esistenziale.

Prendere coscienza di questo stato di esilio significa metterci alla ricerca della via di ritorno per “riannodare i lacci” , o “costruire  ponti”, tra questo nucleo eterno e la nostra personale interiorità.

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Il pensiero di Grof sulla respirazione e sulla nascita rappresentano un’importante Link tra la psicologia del profondo di Jung e i grandi misteri umani-divini descritti nella Cabalà.

Esiste una recente teoria embriologica secondo la quale il seme, nel ventre materno, ha memoria cosmica. Egli sa, ma il grido del neonato, che è la sua prima espirazione, segnala la morte del feto e la nascita dell’uomo. Questo trauma respiratorio della nascita (che è anche morte),  spinge questa memoria nelle profondità dell’inconscio  – infatti il timore di lasciare andare l’espirazione “fino in fondo” e quindi “morire” sussiste, secondo Reich, in tutte le nevrosi.

L’utero viene considerato nella Cabalà così come nel pensiero di Grof un portale, una “doppia porta”: la porta della nascita fisica attraverso la quale il nascituro viene alla luce, ma anche la porta tramite la quale l’essere umano accede ai segreti più riconditi dell’esistenza, per poi ritornare indietro e portare avanti il proprio compito sulla terra. La porta della rinascita spirituale.  Una sorta di finestra aperta verso il nostro cielo interiore, dalla quale proviene l’energia vitale che accende la luce della consapevolezza e che può operare radicali cambiamenti in noi stessi e nelle nostre vite. Secondo la Annick de Souzenelle “la grandezza dei misteri dell’antico e nuovo testamento consiste essenzialmente nel fatto che l’uomo deve sposare la madre delle profondità, di cui ogni madre biologica è simbolo, prima di essere elevato verso il Padre”. Qui si tratta della via femminile alla consapevolezza, la via descritta da Grof (la via maschile è stata descritta, per esempio, da Wilber). Il contributo di  Grof, il suo studio sistematico e approfondito di questo momento iniziale della vita di ogni essere umano ci offre un importante ponte di collegamento tra visioni del mondo e della psiche umana finora inconciliabili. Anche secondo la Cabalà l’uomo deve ritornare seme: colui che si rifà  volontariamente e coscientemente seme (e le tecniche respiratorie  appartengono a questa via), colui che “sposa la madre e penetra nelle tenebre dell’inconscio”, rompe il sigillo della memoria e riscopre la conoscenza. Giunge così al centro di se stesso e della stessa Vita.

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In realtà esistono circa una dozzina di Cabalà, purtroppo molto spesso in lotta tra loro per affermare la propria verità. Alcune mettono in risalto un determinato aspetto della Tradizione Cabalistica piuttosto che un altro, ma tutte sono estremamente ricche e profonde. Il mio criterio personale di scelta del “mio Cabalista di riferimento”, (il “maestro”)  fu, a parte l’empatia immediata, il fatto che non si ritenessi il detentore unico della verità e la sua continua ricerca e apertura a tutte le altre forme di conoscenza e di percorsi spirituale. Il Cabalista moderno e illuminato cerca di integrare  l’anima ebraica e l’anima universale ed è oggi alla ricerca di ciò che Crivelli definisce La Via Universale alla consapevolezza: la “supersimmetria della fisica delle religioni”.

Da sempre, tra i ricercatori spirituali, si parla dell’esistenza di una Via Universale. Cosa sia in realtà nessuno sa ancora definire, perché va oltre le vie che conosciamo. Forse, sostiene Crivelli, si tratta della quintessenza di tutti i cammini esistenti, o forse  qualcosa di nuovo, che non si è ancora rivelato, più che una via, una specie di “traguardo messianico”. Crivelli è fermamente convinto che né le antiche religioni, né l’occultismo, né il movimento new age abbia ancora trovato  “la via universale”.

Ma qui si va molto oltre la psicologia così come la conosciamo. La posta in gioco è immensa: è ciò che i cabalisti chiamano “la rettificazione del peccato dell’albero della conoscenza” e  che in ambito transpersonale potrebbe essere definito come il superamento dell’ego separato –un’esperienza di Unione (con la U maiuscola).

Le vie dell’etica tradizionale, ci ricorda Crivelli sono soltanto riuscite a contenere i danni “del peccato originale”, lo stadio della storia umana che vieni espresso nel mito di  Adamo ed Eva. Attualmente le religioni con i loro dogmi e precetti non riescono nemmeno più in questa opera di contenimento. La decadenza etica del nostro mondo moderno è evidente: l’incremento esponenziale del narcisismo, la guerre, i disastri ecologici etc… sono la prova dell’insufficienza dei nostri tentativi di cambiare la natura umana basati sull’etica e la morale tradizionali che cercano di arginare i danni. Ma proprio come quei farmaci che agiscono sui sintomi, non offrono un autentico percorso di consapevolezza ed evoluzione interiore dell’essere umano.

Oggi persino la medicina sta prendendo una nuova posizione dinanzi alla sfida ed alla necessità di una evoluzione spirituale, sempre più urgente. In Brasile questo è molto evidente. Oggi la medicina riconosce la condizione di “malattia dell’anima” così come sono ufficialmente riconosciute le possessione o stati di transi. I casi di persone che entrano in stato di transi durante contesti religiosi o sedute medianiche, cosi come quelle che vedono spiriti o persone morte non vengono più considerati malattia.

Il codice internazionale delle malattie oggi riconosce ufficialmente l’influenza degli spiriti: sentire voci e vedere spiriti non è motivo per prendere medicinali della fascia nera per tutta la vita. Finalmente, almeno dalle notizie che mi arrivano dal Brasile, la mente materialista si sta aprendo ad una nuova visione del mondo.

Non molto tempo fa l’idea di salute veniva stabilita secondo un criterio di benessere biologico, psicologico e sociale della persona e non veniva preso in considerazione la sofferenza dell’anima, il benessere spirituale. Oggi la salute viene oggi definita come una stato di completo benessere dell’essere umano integrale: biologico, psicologico e spirituale.

Nella mia esperienza clinica un numero consistente degli analizzandi diagnosticati come psicotici perché “sentono voci” o “vedono spiriti”, nella realtà sono  persone che stanno vivendo un travaglio spirituale e non squilibrati mentali. Molti di loro possono superare la loro sofferenza, se vengono considerati dal punto di vista integrale e curati come tali, ma purtroppo ancora oggi le diagnosi psichiatriche, la prescrizione di farmaci il più delle volte inutili o dannosi con tutte le conseguenze nefaste, sono una pratica ricorrente.

Il Dott. Sergio de Oliveira è un medico psichiatra brasiliano, professore all’Università di Medicina di San Paolo, alla cattedra di medicina e spirituaità, oggi d’obbligo in Brasile, e ricercatore nel campo della psicobiofisica. Il suo lavoro unisce concetti di psicologia, fisica, biologia e spiritismo con particolare attenzione agli studi sulla ghiandola pineale, considerata da millenni anni “la sede dell’anima”. La ghiandola Pineale è una ghiandola endocrina che appartiene all’epitalamo. Per i praticanti dello yoga la pineale è l’ajna chakra, ou o “terzo occhio”, collegata all’auto conoscenza. Gli egiziani la chiamavano “il sole nella testa”.

La sua funzione è ancora sconosciuta, la Souzenelle (Il simbolismo del corpo umano) sostiene che è sconosciuta perché ancora addormentata: l’umanità nel suo attuale stato di coscienza, non riconosce la propria  spiritualità. Secondo la Souzenelle la ghiandola pineale si rivela come il fulcro della visione delle grandi profondità dell’anima, quando l’uomo assume la sua “matrice di fuoco”. Quindi allo stato attuale, la pineale non è ancora sollecitata ad inviare il suo influsso al campo toracico. Durante un suo intervento all’Università, Oliveira ha affermato di aver ricevuto numerosi stimoli per  lo studio della ghiandola pineale. Uno di questi stimoli è stata una visione nella quale gli è apparsa il professore Zerbini, rinomato medico brasiliano deceduto, che Oliveira aveva sostituito nei suoi ultimi impegni accademici. In questa visione Zerbini, stando a quanto racconta Oliveira, lo ha suggerito insistentemente di studiare la ghiandola pineale.

I cabalisti ci parlano di un giardino chiamato Pardes, il “giardino dei segreti (il giardino dei melograni del Cantico dei Cantici): il più bello, ma anche il più pericoloso, un giardino nel quale chi entra non è mai sicuro di poterne uscire e non può neanche sapere come lo farà. Nel Talmud c’è una storia che ci aiuta a comprendere, la storia di quattro rabbini saggi e santi: il primo di loro quando vidi il giardino provò un tale stupore che cade fulminato prima ancora di entrare; il secondo rabbino invece ha provato una gioia immensa e si mise a ballare, un ballo così vorticoso che non riuscì più a fermarsi ed impazzi. Il terzo rabbino varcò la soglia del giardino, ma usci all’istante rinnegando la propria fede e tutto ciò che aveva amato fino a quel momento: diviene il messaggero della devastazione. Il quarto rabbino fu il solo ad attraversare il giardino e a tollerare  lo splendore senza ridursi in cenere. Lui aveva un altro tipo di conoscenza, la conoscenza di ciò che non si può dire, “di quel soffio che si trova nella spazio tra le parole”. Crivelli vedi in questo racconto una metafora dei quattro livelli di comprensione presenti nelle scritture sacre: i primi tre sono rispettivamente i livelli letterali, simbolico e etico e il quarto è  il livello di conoscenza segreto, mistico i cui strumenti vanno oltre il razionale. E’ questo l’approccio della Cabalà.

L’esilio da questo giardino significa per la Cabalà solamente un lungo intervallo… siamo tutti  esiliati da questo giardino in attesa del momento propizio per fare ritorno. L’archetipo dell’Abbandono, quello del Giardino dell’Eden, è il paradigma stesso della nascita umana e dell’esilio da questo giardino incantato, al quale per tutta la vita ci struggiamo di poter tornare.

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La psicologia transpersonale di Grof,  attraverso lo studio di profonde esperienze di auto esplorazione interiore, fa un parallelo tra  questo  sentimento  universale  di abbandono  e l’esperienza del nascituro bruscamente “cacciato via” dal grembo materno, il suo paradiso amniotico, nel quale viveva in uno stato di perfetta armonia e  beatitudine. Grembo materno che gli era ormai troppo stretto e che lo ha spinto drasticamente verso la porta d’ingresso del mondo attraverso un percorso doloroso. Dolore che vieni espresso dalle grida e dal pianto dei neonati, il cui eco sembra risuonare per sempre dentro di noi.

Prima ancora della nascita, nel tempo del mito, stando a quanto ci raccontano le nostre tradizioni spirituali, la nostra anima “sceglie” un’immagine mitica, qualcosa come un “schizzo divino” di ciò che poi sarà la sua vita sulla terra, ma l’ingresso nel mondo la fa dimenticare. Avere una potenzialità e non utilizzarla è molto più doloroso di non averla per niente e  l’anima soffre per questo oblio e aspira ardentemente a ritrovare se stessa, a esprimere la sua unicità.

Ognuno di noi si porta dentro questo segreto profondo, una sorta di “codice” della propria individualità, “la promessa che il seme fa alla parte più nobile di se stesso mentre ancora si trova agli inizi della vita”, ci ricorda Crivelli: portare a compimento la novità che ognuno di noi rappresenta, ciò che siamo venuti a fare o a dare al mondo con la nostra nascita. La custodiamo nel profondo di noi stessi come un’intuizione etica più o meno nitida, a seconda del nostro stadio evolutivo insieme a quelle nostre caratteristiche irripetibili: abilità, interessi, doti creative, qualcosa di esclusivamente nostro che non sempre siamo in grado di scoprire da soli.

Quando, attraverso un lavoro di profonda auto esplorazione interiore attingiamo a questa essenza segreta di noi stessi, al “pozzo della vita”, la nostra esistenza acquisisce una maggiore  intensità. Più contatto abbiamo con questa dimensione interiore più i sentimenti e le emozioni si ravvivano, diventano più chiari e intensi e più la vita diventa “degna di essere vissuta”. Ad un certo livello d’intensità possiamo persino riuscire a percepire l’eternità di ogni attimo presente. Durante questo viaggio di ritorno che i cabalisti descrivono come  la risalita dell’Albero della vita, riusciamo a ricordare i tratti del disegno prescelto e a volte anche l’intero contenuto della nostra immagine originaria e a riappropriarci della chiave del nostro destino.

 

 

 



[1] Dal greco olos-trepein, che tende verso la totalità, è una tecnica di auto esplorazione profonda sviluppata da Stanislav Grof che utilizza come mezzo di accesso all’inconscio la respirazione, musica evocativa e lavoro sul corpo.

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