Stanislav Grof tra psicologia del profondo e Cabalà

Stanislav Grof tra la psicologia del profondo e la Cabalà

La re-visione e il reincanto della psicologia

di Virginia Salles, Roma

 

Sono nata in Brasile. Quel che più  colpisce lo straniero che arriva da quelle parti è la percezione di una natura più forte dell’uomo, una natura che in un certo senso lo “sovrasta”. natura che si trova anche dentro di noi: il nostro mondo interiore, l’inconscio con i suoi archetipi. Nell’ambito del Candomblè (religione afro-brasiliana), le forze della natura sono divinità che durante gli stati di trance si impossessano degli elegun (gli iniziati), li “cavalcano” e comunicano così con i mortali, portano benedizione, grazia, insegnamenti, medicine per il dolore etc… Qui si tratta di una religione molto primitiva, in che senso intendiamo oggi la parola “religione”? Cosa significa “essere religioso”?

Generalmente consideriamo la persona religiosa come quella persona credente in Dio e che, come conseguenza della propria fede, sia anche una persona dotata di una coscienza etica. Questa definizione trascura però qualcosa di essenziale, la dimensione intrinseca del sentimento religioso: il fatto che questo non è fondato su un “concetto” (razionale) di Dio. Più che di religione quindi, come siamo abituati a intendere, sarebbe meglio parlare di “esperienza religiosa” e ciò che conta non sono le concezioni razionali che ne derivano, ma  l’esperienza umana che genera tali concezioni, in particolare nei suoi aspetti di catalizzatore di trasformazioni profonde dell’essere umano: un’esperienza di trascendenza che, tradotta in linguaggio psicologico, significa l’abbandono della prigionia dell’ego e dell’identificazione con il proprio corpo – di quel sentirsi incapsulato nella “tunica di pelle”, per usare il linguaggio cabalistico. Di solito questo tipo di esperienza “oltre i confini” viene definita “Dio”. Le differenti interpretazioni che vengono date di tipo filosofico o religioso riguardano solamente il contesto nel quale viene elaborata; nella loro essenza questi vissuti sono molto simili sia che contengano o non un concetto di Dio.

Questo tipo di esperienza viene descritta nella letteratura mistica cristiana, ebraica, musulmana e anche nel buddhismo zen. Al di fuori del contesto religioso fu descritta da studiosi come C. G. Jung (in particolare nel suo “libro rosso”), Stanislav Grof, Ken Wilber, Roberto Assagioli, Rudolf Steiner, Benedetto Spinoza, Erich Fromm etc…

Noi viviamo contemporaneamente in due dimensioni di comprensione e di conseguenza in due ordini di realtà. William James parla di un “velo leggerissimo” che separa il nostro normale stato di veglia da altre forme potenziali di coscienza. Secondo James, possiamo vivere un’intera vita senza nemmeno sospettarne l’esistenza, ma è sufficiente uno stimolo appropriato per svelare queste altre forme di realtà in tutta la loro vastità.

Giorgio Albertazzi, presente al convegno sulla comunicazione del C.S.P.L. nel 2005, raccontò il suo incontro con Jung che avvenne nella sua casa di Zurigo. Mentre passeggiavano insieme in giardino, Jung, fermatosi ad un certo punto dinanzi ad un muretto, gli disse: “quando cade il muro, non aver paura: guarda!”. Parole queste che, secondo l’attore fiorentino, lo hanno segnato per tutta la vita!

Quando questo “muro cade” o il velo si squarcia, ciò che percepiamo “al di là…”, sta all’origine delle grandi filosofie, delle religioni e di molte opere d’arte e da sempre ha rappresentato una fonte di nutrimento interiore e di significato per tutta l’umanità. L’uomo ha sempre cercato attraverso varie modalità di attingere a queste dimensioni al di là della realtà ordinaria, di attivare questo tipo di esperienza all’interno di contesti molto spesso considerati sacri.

Uno di questi mezzi è l’ayahuasca: una pianta “sacra” che si trova in Amazzonia il cui infuso viene ingerito dagli indios per indurre stati di trance. Chiamata anche “la liana dei morti” – in quanto provoca una trance di tipo medianico (l’ingresso nel regno dei morti) – viene ingerita all’interno di un contesto religioso: Il Santo Daime. Questa sostanza, ad un certo punto, sfuggì al contesto rituale e fu utilizzata da persone curiose che la volevano sperimentare. Emersero molti problemi legati al fatto che queste persone non erano pronte a vivere ed elaborare le esperienze che venivano attivate. Per fare fronte all’opinione pubblica che esigeva la proibizione dell’ayahuasca, lo Stato brasiliano ha finanziato un importante lavoro di ricerca sulla popolazione dell’Amazzonia che la utilizzavano  all’interno del contesto rituale. I risultati furono sorprendenti: queste popolazioni risultarono, rispetto alla media, meno aggressive, meno competitive, più creative e tendenti a stabilire relazioni interpersonali armoniche. Dinanzi a questi risultati l’attuale legge brasiliana a riguardo permette l’uso dell’ayahuasca, ma solamente all’interno del rito: il  Santo Daime.

Il contesto sacro funge da contenitore e dona significato all’esperienza, favorisce l’elaborazione dei vissuti e l’evoluzione della coscienza. Di seguito l’esperienza olotropica di “Giacomo”, 36 anni, dipendente da alcol e cocaina:

“La mia prima visione è stata di un organo umano insanguinato (cervello). Dopo appare l’immagine di un’eclisse solare (piena) che mi turbava e infastidiva…  Allora ho iniziato a imprecare e poi, vedendo che non spariva, ho iniziato a pregare. L’eclisse piena è passata ad una fase dove si vedeva soltanto uno spicchio di sole e a questo punto sono iniziate le “apparizioni”: Buddha, Maometto, la Madonna, il dio a forma di elefante e altri ancora…e sapevo che avrei dovuto continuare a pregare per fare evolvere le cose.

Ad un certo punto dalla mia pancia ho sentito una forza che saliva verso l’alto, opprimendomi i polmoni, l’ho lasciata salire ed ho sentito il bisogno di massaggiarla, il che ha provocato un grande benessere, che non so descrivere, in tutto il mio corpo e allora ho sentito che non dovevo pregare più perché io ero la Madonna, Buddha, Maometto e loro erano me, e non solo: io ero “Tutto”: Aria, Acqua, Terra, Cosmo, il Male, il Bene, la Gioia e il Dolore. E la cosa strana è che non c’era niente da capire, perché da qualche parte dentro di me già lo sapevo. C’è una legge semplice e naturale che è scritta dentro di noi. Così deve essere, così è stato e così sarà per sempre.

Ho cercato di descrivere a parole tutto quello che ho provato, ma è molto complicato, solo se un giorno riuscirete a provarlo, capirete che ho ragione perché tutto questo è dentro di voi, è dentro a tutto ciò che esiste e non c’è niente da capire, è tutto già scritto in qualche legge universale.”

L’ esperienza olotropica di Giacomo è stata elaborata all’interno della visione buddhista. Lui abbandonò qualsiasi tipo di dipendenza e abbracciò la fede buddhista, ma potrebbe essere elaborata all’interno di un’altra religione o di una visione laica del mondo che comprenda la dimensione spirituale dell’esistenza.

Molti studiosi dei più svariati campi del sapere (da Jung a Grof, Wilber, Laszlo, Goswami e alcuni cabalisti) stanno gettando le basi per un rinnovamento filosofico degli attuali paradigmi culturali ed etici. I principi fondamentali di questo rinnovamento epocale giacciono già, spesso sopiti, nell’intimo di ognuno di noi e si basano sulla trascendenza di tutto ciò che nel corso del tempo ci siamo abituati a chiamare “religione”: l’eredità culturale delle nostre tradizioni spirituali non potrà più essere interpretata nei termini autoritari dei dogmi religiosi tradizionali, ma nel senso di un fattore spirituale di civiltà, elemento catalizzatore di conoscenza, di espressione artistica e di Bellezza, nel senso più ampio della parola.

 

Qui si tratta di andare oltre la psicologia come la intendiamo, è come se la psicologia dovesse varcare il suo Rubicone. La re-visione e il reincanto della psicologia passa, attraverso Grof, verso qualcosa come la ricerca del “fondamento universale”, quel fattore spirituale che ci riporta a noi stessi e allo stesso tempo unisce e trascende le religioni. Penso che la Cabalà ci offra una visione del mondo che soddisfa queste attuali esigenze della psicologia. La lettura delle  opere cabalistiche catalizza il processo di ricerca interiore ed apre la via verso una coscienza più vasta e più completa.

Durante le esperienze iniziatiche appartenenti a differenti tipi di tradizioni spirituali, c’è un lasso di tempo che intercorre tra i vissuti iniziali di morte e distruzione del mondo  e il successivo rinnovamento: la rinascita. La persona “in travaglio spirituale” smarrisce in quel momento tutti i punti di riferimento e resta presa in una morsa. È un momento d’impasse nel quale “l’iniziando” non può più conformarsi al suo  vecchio modo di  essere-nel-mondo, che non gli appartiene più, ma non ha ancora trovato i nuovi valori né una visione del mondo che gli permetta di costruire un nuovo e più ampio progetto di vita: l’iniziando si trova a questo punto sulla soglia dell’iniziazione e nei contesti iniziatici tradizionali vengono  impartite precise istruzioni  per superare alcune “prove” che dovranno essere affrontate per giungere alla naturale vita dell’anima. Le prove generalmente sono tre: la prova del fuoco, la prova dell’acqua e la prova dell’aria.

L’esperienza vissuta da Maurizio, 44 anni, durante una seduta di respirazione olotropica

da lui intitolata “le poltrone della conoscenza” sembra in qualche modo relazionata con quanto descritto:

 

Sono in un luogo privo di riferimenti fisici, forse la cima di un monte, tra le nuvole, forse il monte Athos. Cammino nell’assoluta mancanza di particolari riconoscibili, in un luogo (o meglio un non luogo) fatto di luce bianca. Ad un certo punto vedo una sedia di granito, grande e massiccia. Un uomo anziano mi spiega da lontano (è a circa 10 metri da me e non si avvicina mai), che sono arrivato alle tre sedie della conoscenza. Io guardo meglio e vedo che più in là ci sono altre due sedie uguali, ben distanziate tra loro. L’uomo mi spiega che per arrivare alla conoscenza avrei dovuto sedermi su tutte e tre e che le sedie non sono uguali tra loro: la prima è la sedia dell’acqua, la seconda del fuoco, la terza la sedia della luce.

Senza indugio accetto di sedermi e comincio dalla prima sedia, quella dell’acqua. Affronto questa cosa nell’assoluta ignoranza di quello che mi sta per accadere. Nell’istante stesso in cui mi siedo mi trovo in un mondo subacqueo vastissimo e apparentemente senza confini (senza alcuna possibilità di trovare aria!). Mi spavento moltissimo e inizio a soffocare, subito capisco che morirò e che non posso fare niente per evitarlo. Ed infatti accade: muoio. Ma la morte dura un istante e subito mi accorgo che è come se avessi subito una trasformazione, ora posso respirare l’acqua. Mi prende un stato di euforia fortissimo e non riesco a trattenere le risa. Inizio a nuotare come un pesce e a respirare e mi muovo liberamente intorno abbandonando la sedia. Nel mio girare libero arrivo davanti alla sedia del fuoco. Questa mi intimorisce molto. Sia perché ho capito che mi aspetta una nuova morte sia perché mi prende una paura fortissima, paura di dover, con la morte, lasciare tutto quello che conosco, che amo, che mi sta intorno. Piango moltissimo e non riesco a prendere la decisione di sedermi. È come se questa volta sapessi che dovrò rinunciare a tutte le certezze che ho e la paura di questo mi attanaglia.

Decido di legarmi alla sedia perché dubito della mia forza, in questo momento sono molto debole e spaventato. Appena mi siedo appaiono degli anelli metallici che mi imprigionano i piedi e i polsi e, in un istante, il fuoco mi avvolge ed io sento il mio corpo fondere completamente. Ma anche questa volta la morte dura un istante e subito inizio a sentire di nuovo il mio corpo e mi meraviglio di poterlo toccare, mi tocco le mani, il viso, il petto e sono stupito di poterlo fare, un istante prima avevo sentito la mia carne sciogliersi. Ora non ho più paura di niente.

Guardo la terza sedia e le giro intorno. Più la guardo e più mi accorgo di non capire cosa sia e passo molto tempo a cercare di immaginare qualcosa, a cercare un indizio, anche solo un pensiero che mi renda tutto più chiaro…ma niente, continuo a non capire, è come se fosse una cosa che non si può capire. Non resta che sedermi sulla terza sedia.

Così mi siedo e… in un istante, con un lampo di luce sparisce tutto, io, la sedia, le mie domande, le risposte che cercavo, niente esiste più, ho la percezione del nulla più assoluto e questo non è bello né spaventoso, è NULLA. O forse tutto. E non serve più niente, e nulla viene dopo questo, forse proprio perché  è già TUTTO!

E’ molto pericoloso voler riportare questo tipo di esperienza al livello delle categorie di una coscienza ordinaria, chiuderla nei nostri schemi concettuali. Questo tipo di esperienza appartiene alla trascendenza e richiede urgentemente una revisione dei nostri concetti fondamentali, richiede un’altra visione del mondo!

Trascrivo di seguito un brano dell’esperienza olotropica di Giorgio scritta di suo pugno:

 Il corpo vibra lievemente; inizia il mio solito formicolio nelle mani e poi il vortice nero che mi trasporta in basso…giù, giù…sempre più in basso.

D’improvviso, mi trovo in uno spazio sconfinato, lungo un costolone di montagna con due enormi dirupi a destra ed a sinistra; il sentiero davanti a me è strettissimo ed ho paura di cadere, in fondo all’altro lato di questo stretto camminamento, vedo una sagoma femminile…non la riconosco subito, ma intuisco che è lei, il mio antico amore.

 Lei mi invita a raggiungerla con gesti ammiccanti; sorride, alza il vestito e mi mostra il suo corpo nudo, poi si ricompone. Inizio a camminare ma ho paura; allora provo a muovermi carponi con le ginocchia e le mani lungo il costolone di montagna ma non riesco ad avanzare…vado avanti e poi mi ritraggo. La paura è troppo forte, scivolo verso il dirupo di destra e poi verso quello di sinistra. Torno indietro e mi rialzo.

Mi accorgo che lungo le coste scoscese della montagna avanzano migliaia e migliaia di enormi insetti neri, sono minacciosi, vogliono impedirmi di arrivare a lei, vogliono forse mangiarmi o farmi cadere…ho paura, torno indietro. Forse corro.

All’inizio del percorso c’è una piccola piazzola di terra in piano ed io lì mi distendo per prendere fiato. Sono stanco, ma vorrei raggiungere lei ed abbracciarla.

Provo a rialzarmi e mi accorgo di non riuscire; per quanti sforzi faccia riesco ad alzare solo il busto, ma le mie gambe rimangono distese a terra e pesano, sono doloranti.

 Mi trovo ora di nuovo sul costolone della montagna, guardo davanti a me e lei non c’è più…non la rivedrò mai più. Eppure devo andare dall’altra parte…come fare? Ci sono! Ora provo a volare!! Comincio a muovere le braccia lentamente verso l’alto e verso il basso come se fossero ali. In effetti ho poca fiducia che ci riesca ma…ecco…ecco… VOLO!!!!!!!! Guardo verso il basso e vedo la montagna con lo stretto percorso, le chine ripide senza più insetti; vedo enormi distese di campi a perdita d’occhio: è un spettacolo bellissimo. Il giorno volge al termine e il sole sta tramontando, è quasi sera. Sono esausto, voglio riposare.

Sono di nuovo disteso e consapevole di essere nella stanza di Trastevere, sul materassino. Mi accorgo con stupore di fondermi con tutto ciò che mi circonda; tocco il lenzuolo e SONO il lenzuolo… SONO il cuscino… SONO il materassino… SONO il pavimento… SONO il muro… SONO la musica, l’aria… SONO IL MONDO.

Mi pervade una grande serenità, sorrido. Non avevo mai provato tanto… 

 

Questa è un’altra esperienza di Unione. Questi vissuti sono accompagnati da intense emozioni che influenzano profondamente il respiratore ed a volte trasformano definitivamente la sua visione del mondo.

San Giovanni della Croce ha descritto così il suo viaggio dopo aver attraversato la notte più nera: “Mio il sole, mia la luna, mie le stelle, mia la madre di Dio, mie tutte le creature”. Anche San Francesco d’Assisi descrive ogni elemento della Natura come intimamente suo: fratello sole, sorella Luna e le stelle, fratello vento, fratello fuoco, sorella madre Terra. Queste parole appartengono ad una categoria di esperienza che sfugge totalmente a qualsiasi interpretazione (psicoanalitica o altro), perché sono il frutto di un percorso evolutivo che va oltre la visione della psiche tradizionale, sono il frutto di un’esperienza mistica che non è altro che una visione più ampia e più profonda della realtà in cui viviamo.

Secondo Michel Laitman uno dei grandi problemi del nostro mondo attuale è che non riusciamo a percepire quanto siamo collegati e continuiamo a comportarci come se fossimo “separati”. Per Laitman la nostra attuale situazione globale è caratterizzata da un grande paradosso: da un lato la nostra profonda connessione ed interdipendenza tramite la globalizzazione, dall’altro una sempre maggiore alienazione degli uomini, gli uni nei confronti degli altri. Mentre ci siamo sempre più “globalizzati”, siamo diventati allo stesso tempo, sempre più narcisisti, ma in realtà noi “siamo tutti nella stessa barca” e nel sistema integrato della nostra attuale comunità globale, il nostro stesso destino dipende dal nostro comportamento e dalle nostre azioni verso gli altri.

Esperienze come quelle di Giorgio, Giacomo o Maurizio durante le r.o. possiedono un importante significato e, direi anche, “potenziale” ecologico, nel senso che ci riportano alla Natura e ci rendono consapevoli della nostra profonda connessione, ma sono anche esperienze portatrici di conoscenze  di tipo filosofico e religioso (nel senso descritto prima).

Da molti anni faccio gruppi di r.o. ed in tutto questo periodo ho riflettuto su come fare in modo che le esperienze vissute non rimanessero un semplice assaggio del mondo interiore o il cosi detto “turismo spirituale”, ma diventassero qualcosa come  l’inizio di un vero e proprio percorso di trasformazione interiore. Ma non sempre accade. Ho pensato ad una cornice di riferimento molto ampia che stimolasse ed allo stesso tempo favorisse un percorso di crescita interiore anche per chi non fosse disponibile a seguire un credo religioso. Una visione del mondo che fosse ampia e profonda ma non necessariamente “religiosa”.

Ho trovato per caso, in una libreria in Brasile, un libro di  Cabalà e da allora sono stata, come dire… rapita! Lo studio della Cabalà non è uno studio nel senso che siamo abituati a dare a questa parola, ma è qualcosa di prevalentemente emotivo, è un po’ come “essere innamorata”, ma che allo stesso tempo offre la cornice più ampia che abbia mai incontrato per comprendere, anche razionalmente, tutte quelle esperienze del mondo interiore così difficili di esprimere. Lo studio della Cabalà può contribuire enormemente ad un allargamento di prospettive, alla revisione ed al re-incanto della psicologia.

Le conoscenze cabalistiche sono tramandate da millenni “da bocca a bocca” a pochi iniziati, ma è solo recentemente la Cabalà si sta rivolgendo a tutto il mondo attraverso i più moderni e popolari mezzi di comunicazione. La ragione di questa “apertura” delle conoscenze cabalistiche è che siamo oggi sempre più consapevoli dei suoi principi fondamentali: la “globalizzazione”, l’unità e indivisibilità della Natura, la profonda connessione tra gli esseri umani.

Secondo quanto ci raccontano i cabalisti, all’origine dei tempi, Dio si è contratto, ha ristretto la sua esistenza fino a creare un punto vuoto, “oscurato” dalla Luce divina. Da questo punto di oscurità nacque tutto ciò che conosciamo come mondo: la materia, il tempo, lo spazio, l’universo infinito. Per occultare la Luce divina furono innalzati dieci veli: le dieci sefirot o livelli  dell’occultamento, al punto tale che non siamo più consapevoli delle nostre origini divine. A questo moto divino viene dato il nome di Tzimtzum, o “la contrazione”.

Adam Qadmon – una delle entità più elevate della cosmogonia cabalistica –  è l’Uomo Assoluto, l’uomo originario, dal quale veniamo e verso il quale tendiamo. Il percorso dell’intera umanità e di ognuno di noi verso la conquista della nostra natura originaria viene espresso  nella tradizione ebraica attraverso il racconto biblico della liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto: l’archetipo della ricerca della libertà. Adam è l’umanità intera, siamo noi, è ogni essere umano custode del “seme segreto” e assetato di verità.

Nella visione della Cabalà, l’inconscio è ciò che è rimasto nascosto, è il “non compiuto”,  uno spazio sconfinato carico di energia e potenzialità che gravita intorno al  nucleo centrale della nostra personalità (il “Sé” di Jung). E’ il polo femminile dell’essere in senso archetipico e la nostra lontananza da questa nostra dimensione più autentica viene rappresentata nel mito di Adamo ed Eva come “la caduta”. In ambito cabalistico questo stato decaduto nel quale ci troviamo viene definito “la condizione d’esilio”,  una condizione di  abbandono di noi stessi. Il dramma umano è quello di aver, in un certo senso, accettato come “normalità” questa condizione di alienazione esistenziale. Prendere coscienza di questo stato di esilio significa metterci alla ricerca della via di ritorno per “riannodare i lacci” , o “costruire  ponti”, tra questo nucleo eterno e la nostra personale interiorità.

Il mito di Adamo ed Eva scacciati dal Giardino dell’Eden, l’archetipo dell’abbandono, si riferisce alla condizione di esilio nella quale, secondo la Cabalà, si dibatte e soffre  l’intera umanità. I cabalisti ci invitano ad un viaggio di ritorno e ci parlano di un “segreto” esistenziale molto importante: questo segreto è la “Via all’albero della vita”, la conoscenza del nostro mondo interiore, quell’altro lato di noi stessi che in psicologia chiamiamo “inconscio”, nei suoi vari livelli di profondità descritti dalla psicologia transpersonale e dalla Cabalà: personale (Freud), collettivo-archetipico (Jung), profondo-spirituale (transpersonale). L’Eden, il nostro paradiso perduto, non può che rappresentare un profondo stato di coscienza: la pienezza e l’armonia ritrovate nel contatto con il mondo divino in noi.

Lo studio della Cabalà è in realtà l’ascolto e l’osservazione approfondita della Natura e dei suoi segreti, alla ricerca delle tracce della memoria divina incise nelle cose del mondo: quei messaggi silenziosi rivolti a chi ha occhi per vedere, orecchie per ascoltare e cuore per sentire. Attraverso lo studio della Natura, i cabalisti cercano di rintracciare le leggi ontologiche, universali con cui Dio ha creato il mondo.

Il nome di Dio, nella Cabalà, è troppo potente per essere pronunciato (a parte nel Chassidismo). Quando i cabalisti parlano di D-O, o del Boré non si riferiscono al Dio così come siamo abituati ad intendere, ma alla Natura in un senso molto ampio. Infatti la parola Natura in ebraico ha lo stesso numero ghimatrico di uno dei 72 nomi di Dio e rappresentano, per un cabalista, la stessa cosa. “Le Leggi di Dio” e “i Comandamenti della Natura” quindi nella Cabalà si equivalgono.

Anche l’utero, come ogni aspetto della natura nella Cabalà, ha il suo segreto che è quello di essere un recipiente rovesciato, un recipiente molto importante che contiene la vita umana a la traghetta verso il mondo.  Nei recipienti che si trovano in natura di solito il fondo si trova in basso e l’apertura in alto, ma il recipiente “per eccellenza” in Natura è capovolto.  Riflettere su questo paradosso della creazione ci fa venire in mente l’opus contra naturam di cui parla Jung: la vita umana deve superare la sua stessa natura se vuole proseguire la sua evoluzione.

Esiste una recente teoria embriologica secondo la quale il seme, nel ventre materno, ha memoria cosmica: egli sa, ma il grido del neonato che è la sua prima espirazione, segnala la morte del feto e la nascita dell’uomo. Questo trauma respiratorio della nascita (che è anche morte),  spinge questa memoria nelle profondità dell’inconscio  – infatti il timore di lasciare andare l’espirazione “fino in fondo” e quindi “morire” sussiste, secondo Reich, in tutte le nevrosi.

L’utero viene considerato nella Cabalà, così come nel pensiero di Grof, un portale, una “doppia porta”: la porta della nascita fisica attraverso la quale il nascituro viene alla luce, ma anche la porta tramite la quale l’essere umano accede ai segreti più reconditi dell’esistenza, per poi ritornare indietro e portare avanti il proprio compito sulla terra: la porta della rinascita spirituale.  Una sorta di finestra aperta verso il nostro cielo interiore, dalla quale proviene l’energia vitale che accende la nostra consapevolezza e che può operare radicali cambiamenti in noi stessi e nelle nostre vite. Secondo la Annick de Souzenelle “la grandezza dei misteri dell’antico e nuovo testamento consiste essenzialmente nel fatto che l’uomo deve sposare la madre delle profondità, di cui ogni madre biologica è simbolo, prima di essere elevato verso il Padre”. Si tratta della via femminile alla consapevolezza, la via descritta da Grof (la via maschile è stata descritta, per esempio, da Wilber).

Secondo la Cabalà è nel  respiro e nel sangue che accade il più grande mistero divino-umano: è lì che Dio si innesca nell’uomo. Il pensiero di Grof sulla respirazione e sulla nascita rappresenta un importante Link tra la psicologia del profondo di Jung e i grandi misteri umani-divini descritti nella Cabalà. Il contributo di  Grof, il suo studio sistematico e approfondito di questo momento iniziale della vita di ogni essere umano, ci offre un importante ponte di collegamento tra visioni del mondo e della psiche umana finora inconciliabili. Anche secondo la Cabalà l’uomo deve ritornare seme: colui che si rifà  volontariamente e coscientemente seme (l’utilizzo della respirazione appartiene a questa via), colui che “sposa la madre e penetra nelle tenebre dell’inconscio”, rompe il sigillo della memoria e riscopre la conoscenza. Giunge così al centro di se stesso e della stessa Vita.

Per i Cabalisti L’opus contra naturam (di cui parla Jung), ciò che dobbiamo “capovolgere”, superare, della nostra stessa natura e che richiede un atto di volontà, riguarda il “desiderio di ricevere” che caratterizza l’essere umano, in opposizione al “desiderio di dare”, che ci connette gli uni con gli altri e con la totalità. Infatti  tutte le religioni del mondo e, la Cabalà in particolare, hanno come moto principale: “ama il tuo prossimo come te stesso”. Questa frase va oltre qualsiasi discorso religioso o etico, è una legge della Natura, ma soprattutto una legge di sopravvivenza. L’alienazione da questa legge universale che i cabalisti chiamano “la legge della dazione” ha generato la nostra attuale “malattia sociale” i cui effetti devastanti si trovano dinanzi ai nostri occhi: l’escalation di isolamento e distruttività a livello individuale e collettivo.

“L’intenzione di dare”, di soddisfare il desiderio di un’altra persona trascende il nostro abituale modo di percepire “il nostro spazio” ed il “nostro tempo” e ci trascina al di là della “separatezza” e di tutte le limitazioni esistenti nel nostro mondo ordinario. Mentre il piacere egoistico è limitato ai nostri confini personali e si esaurisce appena il desiderio viene  appagato, il “piacere di dare” può essere inesauribile in quanto è collegato alla moltitudine degli esseri umani. “Entrare nel mondo spirituale” per la Cabalà significa raggiungere proprio questo piacere senza limiti, qualcosa che va molto al di là dei nostri confini abituali. Trascrivo in seguito un brano tratto da un racconto di Roland Kubler basato sui principi cabalistici intitolato Il paradiso e l’inferno:

Un viandante si rivolse ad un saggio e gli chiese di spiegargli la differenza tra l’inferno e il paradiso. Il saggio lo condusse attraverso un sentiero tortuoso e pieno di sassi, completamente coperto di edera selvaggia e felci rigogliose fino all’ingresso di una grande grotta dove si trovavano migliaia di uomini. Il viandante rimase colpito dall’ascolto delle urla terrificanti e della visione di esseri umani che, con lunghi cucchiai in mano, si rotolavano per terra in preda alla fame e al dolore. Oppure si accalcavano attorno ad un grande pentolone che si trovava sul fuoco, al centro della caverna. Nel pentolone bollivano pietanze dal profumo invitante ed il viandante viene preso dai morsi della fame mentre, con gli occhi sbarrati e pieni di curiosità, osserva la scena.

Il saggio si teneva appoggiato alla parete rocciosa che delimitava un lato del sentiero e osservava attentamente il suo compagno. Finalmente quest’ultimo si volta verso di lui: “non capisco… perché quegli uomini urlano così tanto?” Mentre con brutale violenza, tra le urla, questi lottavano tra di loro per un posto vicino al pentolone. Una volta pieni, i cucchiai erano  però troppo lunghi o forse erano troppo corte le braccia, per portare alla bocca il cucchiaio. Nonostante si allungassero e riprovassero continuamente, nessuno riusciva a portare il cibo desiderato alla bocca, spalancata  per la fame.

Quando il viandante vide tutto questo, si spaventò. “E’ tremenda la sofferenza che sono costretti a patire questi uomini. E’ davvero l’inferno.” “Si” mormorò il saggio, che ora non sorrideva più, “e la cosa più tremenda è che questi uomini sanno perfettamente quello che fanno”. “Ma proseguono. Voglio farti vedere il paradiso”.

Il viandante fu ben contento di seguire il saggio. Lungo il sentiero che attraversava la montagna, udirono ancora per molto tempo i lamenti e le grida di dolore degli uomini affamati. Poi finalmente, lo stretto sentiero si allargò e si trovarono in una grande caverna del tutto identica alla precedente. Anche qui c’erano migliaia di uomini ed in mezzo alla caverna si trovava un pentolone. Al viandante sembrò che vi stessero cuocendo le stesse squisite pietanze e anche lì gli uomini portavano in mano gli stessi lunghi cucchiai, troppo lunghi per poter potarli in bocca.

Il saggio, che seduto su una grossa pietra vicino all’ingresso della caverna, guardava la scena e sembrava ne gioisse, disse voltandosi verso il viandante, “è come nella prima caverna: la pentola sul fuoco, la folla di uomini e i cucchiai troppo lunghi, ma con alcune differenze: gli uomini sono tranquilli e sembrano sazi, parlano tra di loro e regna la pace”. “Cosa è successo?” chiede il viandante. “Guarda!” Il saggio gli indica la pentola dalla quale chiunque può prendere indisturbato la sua porzione e la cosa più sorprendente era che, con il cucchiaio lungo l’uno nutriva l’altro: gli uomini avevano finalmente imparato a nutrirsi a vicenda. Ecco il segreto del paradiso!

La Cabalà, come già detto, è uno studio molto approfondito della Natura alla ricerca delle Leggi divine. Una Legge divina che riguarda gli esseri viventi è che ogni parte di un organismo (per esempio le cellule), deve svolgere “il proprio compito” in relazione alla totalità dell’insieme al quale appartiene. In Natura tutto ciò che vive, tranne gli esseri umani, si comporta come se avesse questo innato senso di appartenenza ad una totalità più ampia: nell’organismo sano le cellule  collaborano le une con le altre, sostenendosi reciprocamente. Se non obbedissero a questa legge naturale,  le cellule entrerebbero in conflitto e combatterebbero le une contro le altre, “ognuna per sé”. E’ questo squilibrio all’interno di un organismo vivente che da origine alla malattia cancerogena: le cellule cancerose combattono fra loro per prendere il massimo dell’ossigeno e degli elementi nutritivi per se stesse, provocando la propria distruzione insieme all’intero organismo che le ospita.

Agire in sintonia con la natura, al di là della nostra tendenza all’egoismo,  richiede la capacità di scegliere consapevolmente le nostre azioni. Il concetto di  libero arbitrio, per la Cabalà, significa proprio questa libertà implicita nella scelta di “dazione” e la consapevolezza l’accompagna. Questa libertà e consapevolezza trasformano l’essere umano al punto di rendere quello che inizialmente fu un “atto di volontà”, una scelta del tutto naturale, l’unica scelta autenticamente umana.

In realtà esistono circa una dozzina di Cabalà, purtroppo molto spesso in lotta tra loro per affermare la propria verità. Alcune mettono in risalto un determinato aspetto della tradizione cabalistica piuttosto che un altro, ma tutte sono estremamente ricche e profonde. Un buon criterio di scelta del cabalista di riferimento, a parte l’empatia immediata, potrebbe essere il fatto che “il maestro” non si consideri il detentore unico della verità, ma continui la sua ricerca interiore con rispetto ed apertura a tutte le altre forme di conoscenza e di percorsi spirituali. Il cabalista moderno e illuminato cerca di integrare  l’anima ebraica e l’anima universale ed è oggi alla ricerca di ciò che Crivelli definisce “la via universale alla consapevolezza”: la “supersimmetria della fisica delle religioni”. Questo concetto viene messo in relazione con la scoperta del bosone di Higgs.

Da sempre, tra i ricercatori spirituali, si parla dell’esistenza di una via universale. Cosa sia in realtà nessuno lo sa ancora definire, perché trascende qualsiasi percorso già conosciuto. Forse, sostiene Crivelli, si tratta della “quintessenza di tutti i cammini esistenti”, o forse  qualcosa di nuovo, che non si è ancora rivelato: più che una via, una specie di “traguardo messianico”. Per Crivelli né le antiche religioni, né l’occultismo, né il movimento new age ha ancora trovato  “la via universale”.

Ma qui si va molto oltre la psicologia così come la conosciamo. La posta in gioco è immensa: è ciò che i cabalisti chiamano “la rettificazione del peccato dell’albero della conoscenza” e  che in ambito transpersonale potrebbe essere definito come “la trascendenza dell’ego”, un’esperienza di Unione, con la U maiuscola.

Le vie dell’etica tradizionale, ci ricorda Crivelli, sono soltanto riuscite a contenere i danni “del peccato originale” – lo stadio della storia umana che viene espresso nel mito di  Adamo ed Eva. Attualmente le religioni del mondo con i loro dogmi e precetti non riescono nemmeno più in questa opera di contenimento, la decadenza etica del nostro mondo moderno è evidente – l’incremento esponenziale del narcisismo, la guerre, i disastri ecologici etc… sono la prova del fallimento dei nostri tentativi di cambiare la natura umana basati sull’etica e la morale tradizionali. Nel tentativo di arginare i danni, le nostre religioni agiscono proprio come “farmaci sui sintomi”, senza offrire un autentico percorso di consapevolezza ed evoluzione interiore dell’essere umano.

Oggi persino la medicina sta prendendo una nuova posizione dinanzi alla sfida ed alla necessità di una evoluzione spirituale, sempre più urgente. In Brasile questo è molto evidente. Oggi la medicina riconosce la condizione di “malattia dell’anima” così come sono ufficialmente riconosciute la possessione o gli stati di trance. I casi di persone che entrano in stato di trance durante contesti religiosi o sedute medianiche, cosi come quelle che vedono spiriti o persone morte, non vengono più considerate malattia.

Il codice internazionale delle malattie oggi riconosce l’influenza degli spiriti: sentire voci e vedere spiriti non è motivo per prendere medicinali “di fascia nera” per tutta la vita. Finalmente, almeno dalle notizie che mi arrivano dal Brasile, la mente materialista si sta aprendo ad una nuova visione del mondo. Non molto tempo fa l’idea di salute veniva stabilita secondo un criterio di benessere biologico, psicologico e sociale della persona e non veniva preso in considerazione la sofferenza dell’anima, il benessere spirituale. Oggi la salute viene definita come una stato di completo benessere dell’essere umano integrale: biologico, psicologico e spirituale.

Nella mia esperienza clinica un numero non indifferente di analizzandi diagnosticati come psicotici perché “sentono voci” o “vedono spiriti”, nella realtà sono  persone che stanno vivendo un travaglio spirituale e non malati mentali. Molti di loro possono superare la loro sofferenza, se vengono considerati dal punto di vista integrale e curati come tali, ma purtroppo ancora oggi le diagnosi psichiatriche, la prescrizione di farmaci il più delle volte inutili o dannosi con tutte le conseguenze nefaste, anche in questi casi, sono una pratica ricorrente.

Il Dott. Sergio de Oliveira è un medico psichiatra brasiliano, professore all’Università di Medicina di San Paolo, alla cattedra di medicina e spiritualità, oggi d’obbligo in Brasile, e ricercatore nel campo della psicobiofisica. Il suo lavoro unisce concetti di psicologia, fisica, biologia e spiritismo con particolare attenzione agli studi sulla ghiandola pineale, considerata da millenni “la sede dell’anima”. La ghiandola Pineale è una ghiandola endocrina che appartiene all’ipotalamo. Per i praticanti dello yoga la pineale è l’ajna chakra, o “terzo occhio”, collegata all’auto conoscenza. Gli egiziani la chiamavano “il sole nella testa”.

La sua funzione è ancora sconosciuta, la Souzenelle (nel suo libro Il simbolismo del corpo umano) sostiene che è sconosciuta perché ancora addormentata: l’umanità nel suo attuale stato di coscienza, non riconosce la propria  spiritualità. Secondo la Souzenelle la ghiandola pineale si rivela come il fulcro della visione delle grandi profondità dell’anima, quando l’uomo assume la sua “matrice di fuoco”. Quindi allo stato attuale, la pineale non è ancora sollecitata ad inviare il suo influsso al campo toracico. Durante un suo intervento all’Università, Oliveira ha affermato di aver ricevuto numerosi stimoli per  lo studio della ghiandola pineale. Uno di questi stimoli è stata una visione nella quale gli è apparso il professore Zerbini, rinomato medico brasiliano deceduto, che Oliveira aveva sostituito nei suoi ultimi impegni accademici. In questa visione Zerbini, stando a quanto racconta Oliveira, gli avrebbe suggerito insistentemente di studiare la ghiandola pineale.

Nel Talmud c’è una storia che ci aiuta a comprendere un importante concetto cabalistico: è la storia di quattro rabbini saggi e santi e di un giardino incantato, il più bello, ma allo stesso tempo anche il più pericoloso, un giardino nel quale chi entra non è mai sicuro se riuscirà ad uscire, né come lo farà. Nel racconto talmudico, il primo rabbino arrivò fino alla soglia del giardino e provò un tale stupore che cadde fulminato a terra prima ancora di entrare; il secondo rabbino invece provò una gioia immensa e si mise a ballare, un ballo così vorticoso che non riuscì più a fermarsi ed impazzì. Il terzo rabbino varcò la soglia del giardino, ma uscì all’istante rinnegando la propria fede e tutto ciò che aveva amato fino a quel momento: diviene il messaggero della devastazione. Il quarto rabbino fu il solo ad attraversare il giardino e a tollerare  lo splendore senza ridursi in cenere. Lui aveva un altro tipo di conoscenza, la conoscenza di ciò che non si può dire, “di quel soffio che si trova nello spazio tra le parole”. Crivelli vedi in questo racconto una metafora dei quattro livelli di comprensione presenti nelle scritture sacre: i primi tre sono rispettivamente i livelli letterali, simbolico e etico e il quarto è l’approccio della Cabalà: il livello di conoscenza segreto, mistico i cui strumenti vanno oltre il razionale.

Per la Cabalà siamo tutti  esiliati da questo giardino in attesa del momento propizio per fare ritorno. L’archetipo dell’Abbandono è il paradigma stesso della nascita umana e viene rappresentato nel mito come la cacciata dal Giardino dell’Eden, quel luogo incantato al quale per tutta la vita ci struggiamo di poter tornare. 

Stanislav Grof, attraverso lo studio di profonde esperienze di auto esplorazione interiore, fa un parallelo tra  questo profondo  sentimento  di abbandono che appartiene a tutti noi   e l’esperienza del nascituro bruscamente “cacciato via” dal suo paradiso amniotico, il ventre materno. Ventre materno che non poteva più contenerlo e che lo ha spinto drasticamente verso la porta d’ingresso del mondo attraverso un tunnel di dolore. Questo dolore, espresso dalle grida e dal pianto dei neonati, sembra risuonare per sempre nel profondo di ognuno di noi.

Oggi, il ritorno a questo Giardino segreto, la nostra fonte interiore sembra possibile e non appare più così pericolosa in quanto abbiamo gli strumenti necessari per elaborare e contenere la “illuminazione”. La psicologia transpersonale ci offre oggi gli strumenti necessari per l’elaborazione della “esperienza numinosa”, come la definiva Jung. Non solo la psicologia, ma anche la scienza moderna, nel campo della fisica in particolare, della biologia, cibernetica, della teoria dei sistemi etc… ha fatto passi da gigante e ci offre una visione del mondo capace di contenere e convalidare questo tipo di esperienza interiore e la conseguente apertura cognitiva.

Stando a quanto ci raccontano le nostre tradizioni spirituali, la nostra anima, prima ancora della nascita,  sceglie un’immagine mitica, qualcosa come un “schizzo divino”, un progetto di ciò che sarà la sua vita sulla terra. Ma la discesa nel mondo la fa dimenticare. Avere una potenzialità e non utilizzarla è molto più doloroso di non averla per niente e l’anima “in pena” non dimentica il suo progetto divino e aspira ardentemente a ritrovare se stessa. Ognuno di noi porta dentro di sé questo “codice dell’anima”, un segreto che Crivelli descrive come “la promessa che il seme fa alla parte più nobile di se stesso mentre ancora si trova agli inizi della vita”. Custodiamo questa immagine nel profondo di noi stessi come un’intuizione etica più o meno nitida, a seconda del nostro stadio evolutivo, in attesa di poter compiere il nostro progetto interiore: di poter estrinsecare nel mondo ciò che ognuno di noi profondamente “incarna”.

Più contatto abbiamo con questa nostra immagine interiore più la nostra esistenza acquisisce intensità, i nostri sentimenti ed emozioni si ravvivano e più la nostra vita, in un certo senso, “ci assomiglia” e diventa “degna di essere vissuta”.  Ad un certo livello di questo percorso possiamo persino riuscire a percepire l’eternità di ogni attimo presente. Questo viaggio di ritorno viene descritto dai cabalisti come “la risalita dell’Albero della Vita”. Nella misura in cui procediamo in questa ascesa riusciamo a ricordare i contorni del nostro “schizzo divino” e persino l’intero contenuto della nostra immagine originaria ed a riappropriarci della chiave del nostro destino.

La Cabalà ci descrive il mondo, così come si presenta ai nostri sensi, come un velo di apparenza che nasconde una ricca e complessa realtà che va oltre ogni immaginazione: movimenti, forze ed energie che interagiscono in una sorta di “danza della creazione” e fanno sì che si manifesti una realtà piuttosto che un’altra: pace, amore, nascita e morte, bellezza o conflitti…. così come tutte le possibilità intermedie degli accadimenti umani… La vera realtà emerge da questa rete a differenti gamme dalle infinite lunghezze d’onda, ma solo un’area molto ristretta di questa gamma tocca i nostri sensi immediati. E’ solo interrogando il mondo che ci circonda e aprendoci ad esso, amandolo, che esso si apre alla nostra conoscenza. Nella misura in cui l’uomo “sale il suo Albero” i suoi sensi si espandono su aree sempre più vaste della realtà e  allora, ci ricordano i cabalisti, anche il mondo divino può essere percepito.

Le scienze moderne mettono in luce il fatto fondamentale che l’energia è inseparabile dall’informazione. La parola informazione può essere intesa su due piani. 1- Il piano ordinario dove comprendiamo che un’informazione è una conoscenza acquisita. 2- Il piano più sottile, dove comprendiamo, per esperienza, che l’informazione ha una sua funzione interna di “formatore”.

Una conoscenza ci trasforma, ci scolpisce dall’interno, perché essa è energia. Scolpisce per la stessa ragione l’oggetto conosciuto. Attraverso questo stesso processo le energie attivate durante un’esperienza eccezionale – uno stato di coscienza non ordinario o un profondo rapporto erotico, per esempio – diventano conoscenza appunto perché l’energia trasforma e allo stesso tempo informa l’essere umano. La vera conoscenza, secondo la Souzenelle è “il parto di noi stessi a terre sempre più profonde, ognuna delle quali è fatta di una somma di energia informatrice”. Il “terrificante mostro marino”, “la notte nera dell’anima” o “il drago delle profondità dell’inconscio” – i guardiani della soglia delle nostre tradizioni spirituali – sono immagini detentrici di questa energia-informazione che trasforma e informa l’essere umano.

L’emozione della verità

Una delle cose che più colpiscono lo studioso principiante di Cabalà è che secondo questa antica saggezza la verità, così come la falsità, appartengono alla sfera emotiva: esiste un’emozione definita “verità” ed un’emozione definita “falsità”. Non esistono nella Cabalà tutti quei concetti logici-astratti per discriminare il vero dal falso a cui siamo abituali. Tutta l’attenzione, in questo caso, viene rivolta  a “come ci sentiamo” quando ci accostiamo all’uno o l’altro di questi opposti.  In particolare viene sottolineato la nostra “vibrazione interiore”: da come vibriamo interiormente, possiamo riconoscere l’appartenenza o meno di qualcosa alla nostra  essenza umana, alla nostra verità. Questo discernimento diventa sempre più chiaro nella misura in cui proseguiamo il nostro percorso di scoperta “di noi stessi” fino al punto di diventare molto sgradevole la presenza di qualcosa – parole, persone, situazioni – che non riconosciamo come veri.

La vera conoscenza è l’ascolto del canto della Natura,  è l’orecchio teso ad accogliere il suono primordiale, proprio come Stradivari, che si faceva tagliare il legno che usava per i suoi magnifici violini durante “la notte in cui gli alberi cantano”. Il riconoscimento dell’“emozione della verità” passa attraverso la nostra capacità di sentire, di  sorprenderci  e  meravigliarci di ciò che ci circonda. La  verità, vista in questo modo, è inscindibile dall’amore e, ci ricorda Crivelli, dev’essere, un’emozione altrettanto intensa quanto quella provata in momenti di intimità sessuale. Per la Cabalà “io conosco” vuole dire “io amo”. Infatti nella Bibbia per dire che un uomo ha avuto una relazione sessuale con una donna, si dice che “l’ha conosciuta”. Per i cabalisti la conoscenza non è una qualità intellettuale, ma qualcosa di puramente sperimentale, proprio come quella che l’uomo fa della donna in un rapporto sessuale, ma anche quella che ciascun uomo può fare di ogni elemento della creazione penetrando nelle profondità del suo mistero. Questa conoscenza è amore.

 

 

 

 

 

 

 

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